Cultura e bellezza per rigenerare il carcere. L’impegno di Fondazione Caritro attraverso il teatro, lo sport e il reinserimento
“Per Aspera ad Astra: riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza”. Da quest’anno anche Fondazione Caritro ha aderito al progetto di Acri, l’associazione di fondazioni e casse di risparmio. È la settima edizione, che dal 2018 ha portato percorsi di formazione professionale nei mestieri del teatro in più di venti carceri italiane, coinvolgendo oltre mille detenuti. E tra le 16 compagnie che partecipano c’è anche la trentina Finisterrae Teatri, con Camilla da Vico e Giacomo Anderle.
A luglio anche loro hanno partecipato alla masterclass di alta specializzazione con la compagnia della Fortezza di Volterra, che da 35 anni lavora con progetti teatrali all’interno della Casa di reclusione. un’occasione di confronto tra le esperienze delle diverse realtà italiane. A Trento per esempio, nel carcere di Spini di Gardolo, grazie al sostegno ed alla disponibilità della direzione e di tutto il personale dell’amministrazione penitenziaria, i laboratori di Finisterrae sono riusciti a coinvolgere in un unico progetto detenuti comuni, detenuti in regime protetto e femminile. Un’unicità preziosa, la forza del teatro ha fatto cadere anche questa barriera.
Finisterrae Teatri ha condotto i primi laboratori negli anni ‘90, quando ancora il carcere era in via Pilati, riprendendo poi dal 2018 nella nuova Casa circondariale di Spini di Gardolo. Il sogno è quello di ricollegare questo luogo alla città attraverso il teatro. I laboratori, che quest’anno ricominceranno anche con il sostegno di Fondazione Caritro, si concludono attualmente con uno spettacolo al quale oltre ai detenuti e alle detenute, assiste il personale e gli operatori del carcere, il Garante dei diritti delle persone detenute, magistrati e altri invitati. «Vorremmo diventasse uno spazio aperto alla cittadinanza» racconta Camilla da Vico, che immagina cittadini comuni seduti tra il pubblico. Quando entra in carcere assieme a Giacomo Anderle non sa chi si troverà davanti. Un po’ alla volta impara i nomi dei detenuti, spesso, lentamente, vengono a galla le loro storie di vita, ma non conosce il reato che li ha portati lì. Ha davanti un gruppo di uomini e donne che, dopo qualche ritrosia iniziale, si mette in gioco. «Noi cerchiamo di facilitare l’incontro con se stessi, al di là del reato, questo è il nostro modo di lavorare. Non ci sono battute da assegnare ma un tema da affrontare e un cammino da compiere, che è quello alla ricerca di mondi diversi, spazi di libertà. Sarebbero vuote le battute di un copione che non ha un contatto vero e profondo con la loro vita. Quindi dobbiamo fare in modo che possano attingere alla loro memoria, alla loro esperienza di vita, passando nel processo artistico da ciò che sono a ciò che possono essere. Non è facile: siamo tutti più o meno chiusi in “scatole”, loro lo sono anche fisicamente e liberare l’immaginario richiede un grosso impegno».
Lo stare insieme, il riflettere, il potersi esprimere e confrontare sono gli strumenti attraverso i quali nasce lo spettacolo. In modo leggero, ludico, apparentemente spontaneo. «Quello che andiamo a fare è un’esperienza artistica, non un percorso educativo. Ma un vero percorso artistico ha sempre a che fare anche con il bene delle persone – spiega ancora Camilla -. Non possiamo separare il bello, dal bene e dal vero. Io non sono lì per rieducare nessuno, ma l’arte stessa educa anche me. E un’esperienza che viviamo assieme. Sono poche ore ma per chi ha seguito più percorsi abbiamo visto una crescita artistica e un’aspettativa crescente rispetto a quello che facevamo. In carcere abbiamo bisogno di trasformare i limiti in opportunità e questa è la chiave per aprire le porte. Un limite, ad esempio, è la documentazione, far conoscere queste esperienze all’esterno per ovvi motivi di privacy, ma ci si è aperta la porta delle voci, che hanno una libertà e un’unicità ancora più forte delle immagini».
Dai miti a Pinocchio: gli spunti da cui partire ruotano attorno alla domanda “cosa ci rende umani?” Le risposte arrivano mettendosi in gioco. «Mi sono sentito in uno spazio protetto dove trovarmi, sperimentarmi, ho sentito senso di appartenenza, ho sentito il gruppo. Questo percorso ci ha fatto dimenticare che siamo in prigione e ci ha ricollegati al nostro esseri umani, alla libertà di provare a sentirci di nuovo umani» racconta uno dei detenuti. Un altro gli fa eco: «Quando ci incontriamo in giro, la prima domanda che ci facciamo è: “tu perché sei qui?” Questo non è mai successo a teatro. Questo percorso ci ha portati a non farci certe domande e a permetterci di scoprire la persona senza pregiudizi». «Mi sono sentita libera» ha aggiunto un’altra. «Non c’è cosa, più del teatro stesso, che ti fa mettere nei panni degli altri».
La validità dell’iniziativa è stata riconosciuta dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria con la quale, nel 2021, Acri ha sottoscritto un protocollo d’intesa volta a favorire o rafforzare progetti esistenti.
NON SOLO TEATRO
Il teatro in carcere non è l’unica attività che Fondazione Caritro promuove e sostiene in questo ambito. Un altro è “Sex Offender”, che consiste in un percorso psicoterapeutico di gruppo e individuale destinato ai detenuti condannati per reati sessuali. Mira a creare una maggiore consapevolezza del grave disvalore sociale del loro agito e dunque al contenimento dei rischi di una recidiva nonché migliorare la qualità complessiva della vita all’interno della casa circondariale di Trento, anche stemperando le tensioni e incentivando la partecipazione alle attività trattamentali disponibili. Entro l’anno il progetto dovrebbe essere esteso anche a chi è uscito dal carcere sempre per reati di natura sessuale o di maltrattamenti. Sono circa dieci all’anno e l’obiettivo dell’intervento è quello di sostenerli nella delicata fase di reinserimento funzionale all’interno della società, al fine e contenere il rischio della recidiva.
Dalla viva voce Aps con il progetto “Cose da ragazzi” coinvolge minori o giovani adulti in messa alla prova in attività proposte da associazioni culturali e sportive del territorio
Il Centro sportivo italiano comitato di Trento porta la pratica sportiva del calcio e della pallavolo di gruppo all’interno della casa circondariale con il progetto “C.S.I.: Carcere-Sport-Insieme”. Non solo movimento ma anche terzo tempo: il gioco non è solo un momento di libertà e divertimento, ma anche occasione di riflessione e confronto. In collaborazione con Apas, associazione provinciale aiuto sociale, vengono realizzati anche dei momenti di formazione per i volontari coinvolti insieme a una rete di soggetti, da anni ormai porta avanti “Liberi da dentro” con lo scopo di coinvolgere i cittadini in eventi e occasioni di incontro e scambio col mondo dell’esecuzione penale. Una particolare attenzione è dedicata al tema della giustizia riparativa.
Fondazione Caritro è stata promotrice nell’anno 2006 del progetto “Avvocati per la solidarietà” volto ad offrire assistenza giuridica gratuita nella fase stragiudiziale alle persone “senza dimora”. Il protocollo, in fase di rinnovo, prevede che il servizio venga prestato a Trento nello sportello di ascolto presente presso la cooperativa “Punto di incontro”, mentre nella città di Rovereto il primo momento di contatto avverrà prevalentemente in via telefonica ed a questo seguirà, qualora la problematica segnalata abbia natura giuridica, l’incontro con il volontario che può essere uno studente della facoltà di Giurisprudenza, un neolaureato o praticante avvocato.